Sandrone e il Carnevale

Per sapere chi sia Sandrone, per rendersi conto di quanto questo personaggio e i membri della sua famiglia siano vivi nel cuore dei modenesi, basterà fermarsi in Piazza Grande, a Modena, il pomeriggio di Giovedì Grasso. Lì, ci si troverà attorniati da una folla partecipe e divertita, intenta ad ascoltare e ad applaudire le salaci battute del “discorso” che Sandrone, spalleggiato dalla moglie “Pulònia” e dal figlio “Sgorghiguelo” pronuncia dal balcone del Municipio.

Mi sembra inevitabile, a questo punto, chiederci: «Chi è questo Sandrone? Quali sono le sue origini?»

Due sono le ipotesi formulate in proposito. Secondo la prima di esse, Sandrone sarebbe una maschera tipicamente modenese creata, circa un secolo e mezzo fa, dall’estro del burattinaio carpigiano Luigi Rimini, detto “Campogalliani”, e del di lui genero Giulio Preti.

Secondo l’altra ipotesi, la maschera di Sandrone sarebbe divenuta popolare nel corso delle feste carnevalesche della Corte Estense. Si narra che, a quei tempi, vigeva l’usanza di invitare a Corte, ogni anno a Carnevale, un contadino notoriamente rustico e zotico, affinché i cortigiani, beffeggiandolo e sottoponendolo a imbarazzanti quesiti, ne traessero diletto.

Accadde però che un anno, lo zimbello di turno fosse un certo Alessandro Pavironi, nativo – si disse – del Bosco di Sotto, il quale non era certo privo di senno e genialità. Lo dimostrò rispondendo con tale sagacia e arguzia alle domande postegli, da mettere in imbarazzo i suoi incauti interlocutori.

Da quella volta, la figura di Alessandro, detto “Sandrone” per la sua ragguardevole corporatura, divenne ambita prerogativa carnevalesca di illustri personaggi del Ducato che si contesero il privilegio di impersonarla.

Giulio Preti, nato a Rolo di Modena, nel 1804, è il capostipite della più celebre stirpe di burattinai. Falegname come il padre, intagliatore, pittore, musicista e soprattutto burattinaio creatore di burattini, iniziò la sua attività, secondo alcuni nel 1820, secondo altri nel 1832, recitando sotto quel balconcino del Duomo di Modena, da dove l’Arcivescovo impartiva la Benedizione nel giorno del Corpus Domini. Fu poi sulla “Préda Ringadòra”, quindi davanti al Palazzo di Giustizia e ancora in Piazza Torre e in tutti i collegi cittadini come quello dei Nobili o di S.Carlo, nel Seminario Vescovile, e nell’Istituto S. Filippo Neri. Le celebri “teste di legno” di Giulio Preti si esibirono addirittura alla Corte di Francesco IV, il duca della Restaurazione, sia nella reggia di Modena che nella residenza estiva del Cattajo, nei pressi di Montegrotto Terme di Padova.

Giulio Preti è, a buon diritto, da considerare il perfezionatore della maschera di Sandrone che definì in vernacolo: “Sandròun Paviròun dal Bòsch ed Sàtta da Mòdna (Sandrone Pavirone del Bosco di Sotto da Modena)”.

Sandrone è il contadino rozzo e ignorante, ma scaltro e sensato al quale Giulio, nel 1840, diede in moglie “Pulònia (Polonia)”, la “rezdòra” tutta casa e chiesa, legata ai costumi patriarcali, sempre sorpresa di fronte alle novità, il cui nome deriva da Sant’Apollonia, una delle Sante popolari delle nostre campagne.

Nel 1846, Preti intagliò una nuova testa di legno: Sgorghiguelo, il figlio di Sandrone e della Pulonia. Lo volle con i capelli irti, gli occhi sbarrati e la bocca sempre aperta per la meraviglia. Sgorghiguelo è un ragazzaccio del contado, ignorante, malizioso, sciocco, chiacchierone, manesco e svogliato al punto da essere sempre l’ultimo della classe; presuntuoso tanto da permettersi di correggere gli errori del padre per sparare poi spropositi ancora più madornali. Sull’origine del suo nome si è disputato a lungo e l’ipotesi più accreditata è sembrata essere quella che fa riferimento al filo di ferro che si usava per sgorgare il lavandino intasato e che nell’Ottocento, a Modena, si chiamava “sgurài” ed anche “sgurghéghel”. Sgorghiguelo dunque, a motivo di una pessima abitudine del nostro personaggio, quella di ficcarsi le dita nel naso.

Sgorghiguelo perciò come sgorganaso.

Gli spettacoli che Giulio Preti presentò nel suo teatrino ambulante riscossero sempre grande successo. Dopo la sua morte avvenuta nel 1882, la sua arte fu continuata dai suoi sei figli: Guglielmo, Enrico, Emilio, Carlo, Ercole ed Eugenia.

Da burattino che era, Sandrone divenne poi un personaggio in carne ed ossa e si presentò al pubblico modenese, facendo il suo primo ingresso in città, in occasione del Carnevale del 1870. La nostra maschera entrò in città dalla barriera di Porta Castello (al termine di Corso Vittorio Emanuele lI), solo, a cavalcioni di una botte di lambrusco, su un carro tirato da due buoi, suscitando un indescrivibile entusiasmo nel folto pubblico presente.

Giulio Preti, battezzando Sandrone, lo disse, come abbiamo visto, originario del “Bosco di Sotto” ed è a tal proposito che si pone l’interrogativo:

«Dove si trova questo fantomatico “Bosco di Sotto”?»

Anche in questo caso svariati sono i pareri. Qualcuno lo identificò nel Bosco di Rainusso che si trovava subito fuori città e circondava la “Villa delle Pentetorri”, voluta nel 1650 dal duca Francesco I come sede di villeggiatura.

Oggi di quella villa e del suo bosco nulla è rimasto se non l’arco del cancello d’ingresso alla villa stessa.

Altri hanno identificato il Bosco di Sotto in quello della Partecipanza che si poteva vedere tra Nonantola e S. Giovanni in Persiceto. Altri ancora nel bosco di S. Felice. Altri infine sostengono che, al tempo dei tempi, il territorio modenese era diviso in due zone, una a sud e l’altra a nord della via Emilia; la prima si chiamava Bosco di Sopra e l’altra Bosco di Sotto, come dire che per Bosco di Sotto s’intendeva tutta la pianura, a quei tempi coperta da fitte selve.

Ciò premesso, la conclusione a cui si può giungere è soltanto questa: il Bosco di Sotto è in qualche punto della “Bassa modenese”, ma più probabilmente è frutto soltanto della fantasia.

La famiglia Pavironica, e Sandrone innanzitutto, è da sempre l’anima del Carnevale modenese, di quel periodo cioè di festeggiamenti vari che, soprattutto in passato, erano una caratteristica dominante della vita cittadina.

Il termine “Carnevale” deriva dal latino “carnem levare” cioè togliere la carne, espressione riferita alla Quaresima che segue il Carnevale.

Soprattutto nella sua ultima settimana, questo periodo raggiungeva il massimo della baldoria collettiva risolvendosi in una sorta di rito pagano, scaturito forse dal desiderio di emergere, coltivato per un anno intero dalla povera gente. La festa cominciava il giorno di Santo Stefano, quando al balcone del Palazzo Comunale si esponeva un gigantesco mascherone che simboleggiava il permesso concesso a tutti di andare per le strade mascherati.